Associazione VivArte

Laboratorio in garage


Immaginate un mondo dove in ogni garage ci sia un laboratorio di ricerca, dove chiunque possa progettare le proprie medicine, terapie personalizzate e trattamenti cosmetici.
Immaginate se tutti, dagli scienziati agli appassionati autodidatta, potessero fare ricerca liberamente e a basso costo, contribuendo allo sviluppo della realtà scientifica locale ed internazionale. Una ricerca ampia, dal basso, principalmente fatta non per grandi aziende ma per sé stessi. Sembra utopico, tanto difficile da realizzare quanto arduo da concepire. Eppure, già nel 1988 iniziava a prendere forma il concetto di “Do-it-Yourself Biology”, di cui oggi si fa portavoce il movimento del biohacking.
I pionieri della rivoluzionaria biologia fai-da-te sono stati proprio quei ricercatori che, nonostante la vasta formazione, sentivano stretto l’ambiente accademico e gli istituti di ricerca tradizionali, le loro regole, protocolli e finalità. Forti della propria esperienza e preparazione, questi scienziati si sono posti come guida per gli altri biologi del fai-da-te con formazione scarsa o nulla, quasi a rendere la pratica scientifica un hobby da praticare, appunto, in garage.
Da uno spazio di pochi metri quadrati e da sparuti partecipanti, è breve il passo che conduce a spazi comuni, più ampi ed accessibili. Dove per risorse non arriva il singolo, riesce il gruppo, con apparecchiature open-source vicine a quelle utilizzate dagli istituti tradizionali. Si generano così ambienti immersivi, che forniscono formazione ed assistenza a chi vuole fare di più e prospettive a chi sa guardare lontano.

Il microcosmo del biohacking si estende dalle più moderate applicazioni della biologia fai-da-te fino agli ideali più estremi del transumanesimo, impostato in un’ottica comunitaria in cui la scienza è libera e svincolata da ogni barriera economica, sociale e culturale.

La tecnologia CRISPR va ad assumere un valore sociale importante nella visione del movimento Biohacker, l’idea che chiunque possa utilizzarla con relativa semplicità apre scenari tanto progressisti e rivoluzionari quanto psicotici. La possibilità che ognuno possa modificarsi a proprio piacimento alletta ed inorridisce al medesimo tempo. Gli stessi Biohacker mostrano perplessità a riguardo, presentando comunque frange più estreme pronte a rinnegare i propri valori, come l’arbitrarietà della ricerca scientifica su se stessi, pur di perseguire uno sviluppo scientifico forse inimmaginabile fino a pochi anni addietro.

E’ possibile disegnare un profilo di questo movimento andando a presentare tre personaggi, Ellen Jorgensen, Josiah Zayner, Aaron Traywick, essi rappresentano al meglio l’eterogeneità di vedute e le differenti modalità d’azione del movimento Biohacker.

Ellen Jorgensen è il Biohacker che abbraccia completamente le convinzioni del DIY Biology, l’idea di liberalizzare la scienza e di permettere a diversi gruppi di partecipare alla pratica scientifica per stimolare l’innovazione, come afferma in un TED del 2013, mettere la tecnologia nelle mani degli utenti finali poiché in quanto fruitori conoscono ciò di cui hanno bisogno.
Per tale scopo nel 2010, insieme ad altri colleghi, fonda Genspace, una no profit che gestisce un “laboratorio di quartiere” a Brooklyn, NY.
Nel sito ufficiale, nella sezione “our mission” il pensiero della Jorgensen si mostra così: “La nostra missione è quella di promuovere una comunità sicura e inclusiva in cui tutte le persone - comprese quelle che provengono da contesti non tradizionali e sottorappresentati - possono apprendere esperienzialmente, creare audacemente e crescere significativamente con le scienze della vita.”
La stessa assicura l’utilizzo degli standard di sicurezza, minimizzando le opinioni quasi catastrofistiche della stampa che, da un report delle Nazioni Unite sul settore, tendecostantemente a sovrastimare le capacità di questi laboratori e sottostimare i principi etici di chi ne fa parte.
Nel 2012, non a caso, la comunità fai-da-te mondiale, Americana ed Europea, si è riunita per elaborare un codice etico comune e, a detta della Jorgensen, è molto di più di quanto abbia fatto la scienza convenzionale.
Gli Openlab come Genspace, che si sono moltiplicati in tutti gli stati Uniti ed in Europa (Italia esclusa), si attengono ai regolamenti nazionali e locali, gestiscono i propri rifiuti in modo corretto, seguono le procedure standard di sicurezza, non utilizzano agenti patogeni.
Di certo siamo solo agli inizi ma questa visione del Biohacking viene apprezzate dalle comunità aventi a disposizione un Openlab del genere e sufficiente curiosità per sfruttarlo.

Differente per certi versi invece l’interpretazione del Biohacker Josiah Zayner, biofisico molecolare ex NASA, che traduce la filosofia del fai-da-te con obiettivi diversi: perché fermarsi alla conoscenza della pratica scientifica, non sarebbe meglio praticarla elevandola al suo massimo esponente?
Seguendo questa ottica più “pratica” si arriva facilmente al self genome editing, ingegneria geneticasu sé stessi, e non può non avere un ruolo da protagonista la tecnologia CRISPR. Vista la semplicità, si fa per dire, di utilizzo di tale strumento di editing, secondo i principi visti anchenel pensiero della Jorgensen, perché non dovremmo dare a tutti la possibilità di usufruirne?
Secondo Zayner non estendendo a tutti tale possibilità si rischierebbe di creare una società con ancora più estese differenze sociali: immaginate ad esempio se solamente chi avesse a disposizione ingenti risorse potesse utilizzare questa tecnologia e modificarsi a proprio piacimento.
Il divario tra le classi sociali sarebbe definitivamente incolmabile e assisteremmo probabilmente ad una nuova ideologia filonazista, alla selezione di una razza superiore, di superuomini, che hanno avuta la possibilità di utilizzare CRISPR per migliorarsi.
Una visione sicuramente discutibile e remota, almeno temporalmente parlando, ma che ha trovato seguito nel movimento Biohacker. Da semplici elucubrazioni Zayner passa all’attuazione della sua idea di scienza democratica con la commercializzazione di kit per l’ingegneria genetica fai-da-te; sul sito web The-Odin.com compaiono pack sempre più avanzati contenenti batteri ingegnerizzati per l’utilizzo di CRISPR, apparecchiature da laboratorio low-cost e guide per poter “divertirsi” con l’editing. Ciò appare come l’evoluzione di quella che Rob Carlston definì nel 2000 “L’epoca della biologia in garage” sull’edizione americana di Wired: ”Prendete un momento per comprare un laboratorio su eBay”.
Ora bastano appena 200$ per avere accesso alla tecnologia CRISPR e questo traguardo segna il boom del movimento Biohacker.
Zayner afferma quindi: “Sono un sostenitore della deregolamentazione perché credo nell’intrinseca virtù del capitalismo. Le cose non progrediscono se le persone non fanno cose utili con esse”. Alle critiche sui rischi derivanti da azioni avventate di singoli utilizzatori di tale tecnologia, risponde così: “Quando hanno imparato a programmare i computer, hanno imparato anche ad hackerare”. Fa intendere dunque che per evitare attacchi informatici non si smette di insegnare la programmazione, piuttosto si vigila e regolamenta. Evidente dunque il palese ritardo delle istituzioni addette, con la flebile attenuante del fulmine a ciel sereno quale è stata CRISPR e i conseguenti utilizzi da “garage”.
Per completare la figura di questo Biohacker bisogna menzionare due episodi controversi che arricchiscono il quadro che, dipende dai punti di vista, mostra il fascino o la pericolosità di questo movimento.
Nel 2016 per curare una malattia gastrointestinale cercò di eliminare tutti i suoi batteri, ricreando nuove colonie a partire da un donatore, da cui ricevette batteri fecali, della pelle e della saliva: per condurre l’esperimento sul proprio corpo mise a rischio la sua vita, ma alla fine sostenne di essere riuscito a eliminare il disturbo. Il tutto ripreso e raccontato dal New York Times in un documentario intitolato Gut Hack.
Nel 2018 invece, in diretta Facebook si iniettò il proprio DNA ingegnerizzato con CRISPR per modificare il gene della miostatina ed aumentare così la propria massa muscolare. Più tardi si pentirà dichiarando: “potevo farmi male”.

Nonostante queste azioni a dir poco avventate, Zayner non rappresenta sicuramente la fascia più estrema del movimento Biohacker che spetta invece ad Aaron Traywick, o meglio spettava.
Trovato morto il 29 aprile 2018 in una vasca di deprivazione sensoriale, in una spa di Washington D.C. in circostanze dubbie, questo personaggio aveva fatto parlare di sé per una audace dimostrazione in diretta Facebook. Qualche mese prima, il 4 febbraio a Austin, in Texas, durante il BioHacking Con, la conferenza più importante per chi si occupa di Do It Yourself Biology, Traywick esegue su se stesso una iniezione intramuscolare di un “rivoluzionario” vaccino contro l’HSV, facendo il giro del web. All’improvviso tutto il mondo parla di biohacking, concentrandosi soprattutto sugli obiettivi di una parte del movimento: democratizzare le terapie geniche togliendo il monopolio alle case farmaceutiche. La FDA, Food and Drug Administration emetterà subito una nota per sconsigliare tali dimostrazioni ed ammonire riguardo la vendita di prodotti non autorizzati.
A sviluppare tale trattamento per l’HSV è l’Ascendence Biomedical, start-up di 3 Biohacker di inclinazione transumanistica (possibilità di diventare eterni grazie alla tecnologia) e guidata dallo stesso Traywick che da eccentrico affabulatore, noto per le sue giacche troppo grandi, i suoi capelli troppo unti, le sue promesse troppo folli, arriverà ad affermare di poter curare di tutto: dall’Aids, ai tumori, all’invecchiamento, ignorando totalmente tempi e modi della ricerca medica tradizionale.
Niente test clinici, niente lungaggini burocratiche, dal laboratorio si passa direttamente alla siringanel paziente, come nel caso di Tristan Roberts.
Il giovane nel 2011 aveva scoperto di aver contratto l’HIV, dopo i primi trattamenti classici con cocktail anti-retrovirali verrà lasciato sul marciapiede dalla propria assicurazione sanitaria. Attratto e sedotto da Traywick, Roberts si inietterà in diretta Facebook una cura sperimentale, basato su l’anticorpo N6, prodotta dall’Ascendance Biomedical.
Diversi biohacker, nei giorni successivi all’esperimento, definiranno le posizioni di Traywick “pericolose per l’intero movimento”. “Ha fatto apparire la comunità di biohacker come un gruppo di idioti truffatori” dice il sopracitato Zayner, prendendo le distanze dall’azione del collega.

È difficile dare una definizione univoca del movimento, ma come si evince dai profili descritti ci sono dei tratti comuni: l’interesse per la sperimentazione medica dal basso e la disintermediazione, l’utilizzo di spazi condivisi, l’etica open source e di sicuro la poca simpatia nei confronti delle case farmaceutiche.

Riccardo Rocchi